giovedì 29 dicembre 2016

Il Gigante di Ferro

Tu sei chi scegli e cerchi di essere.

Il Giudice Amy

Non è mollare che fa male,
è restare aggrappati.

Il gabbiano Jonathan Livingston - Richard Bach

Devi solo seguitare a conoscere meglio te stesso,
ogni giorno un pochino di più.


Egli imparò a volare,
e non si rammaricava per il prezzo che aveva dovuto pagare.
Scoprì che erano la noia, la paura e la rabbia
A rendere così breve la vita di un gabbiano.

giovedì 22 dicembre 2016

Angolo rosso

Le cose che lasciamo dietro di noi prima o poi ci raggiungono.

Jiddu Krishnamurti

I fatti in sé non fanno paura.
Se invece li vuoi evitare,
voltare le spalle e fuggire,
questo sì che fa paura.

Una piccola libreria a Parigi - Nina George

I ricordi sono come i lupi. Non puoi rinchiuderli e sperare che ti lascino in pace.

[..] «Kästner è stato uno dei motivi per cui ho chiamato la mia libreria galleggiante ’Farmacia letteraria’», spiegò Perdu. «Volevo dedicarmi a quegli stati dell’animo che non hanno lo status di malattia e che i dottori non degnano di attenzione. Tutte queste timide emozioni, i moti interiori, a cui nessun terapeuta si interessa perché probabilmente troppo piccoli e incomprensibili. Ciò che proviamo quando l’estate finisce di nuovo. O quando capiamo di non avere più tutta la vita davanti per poter trovare il nostro posto nel mondo. O anche i sottili dispiaceri per quando un’amicizia rimane in superficie e bisogna continuare la ricerca di un confidente. La malinconia che ci coglie la mattina del compleanno. La nostalgia dell’aria che respiriamo nell’infanzia. E cose del genere».
Si ricordò di quel dolore che sua mamma gli aveva confidato e al quale non c’era rimedio: «Ci sono donne che guardano solo le scarpe degli altri e mai la faccia. E poi ci sono quelle che guardano sempre le facce e solo di rado le scarpe». Lei preferiva le seconde, e si sentiva mortificata e si sentiva mortificata e mal vista dalle prime.


[..] Tenendo lo sguardo sull’acqua disse: «Secondo Sanary, bisogna andare verso sud via acqua per arrivare ai sogni e alle risposte. Possiamo ritrovare noi stessi solo dopo aver smarrito completamente la strada. Per amore. Per nostalgia. Per paura. Al sud, ascoltando il mare, si capisce che il pianto e il riso hanno lo stesso suono e a volte l’anima deve piangere per essere felice.»
Nel suo petto si risvegliò un uccello che, cauto, sbalordito di essere ancora vivo, spiegò le ali. Voleva uscire, aprirgli il torace, strappargli il cuore e andare verso il cielo.
«Arrivo» mormorò Jean Perdu. «Arrivo Manon.»


[..] Anke e Corinna guardarono con affetto l’amica e Corinna chiese: «Era questa la risposta alla mia domanda di ieri? Perché non l’hai lasciato prima se non era il tuo grande amore?»
Il piccolo amore. Il grande amore. Davvero terribile che ne esistano di diversi formati, vero?
Mentre Jean guardava Ida che non rimpiangeva la sua vita, non la rimpiangeva affatto, non ne fu più sicuro.
«E… lui come vedeva il vostro tempo?» chiese.
«Per lui il piccolo amore dopo venticinque anni era troppo poco. Ora ha trovato il suo grande amore. Lei ha diciassette anni meno di me ed è così elastica che può mettersi lo smalto sui piedi con il pennellino (o forse pennellone) i bocca».


«L’amore è un appartamento. Tutto in un appartamento dovrebbe essere utilizzato e non ricoperto o protetto. Vive solo chi vive appieno anche l’amore e non ha timore di alcuna stanza o porta. Litigare e toccarsi con dolcezza sono aspetti ugualmente importanti; tenersi stretti e anche allontanarsi. È essenziale che venga utilizzata ogni stanza d’amore, altrimenti i pensieri e gli odori diventano indipendenti. Stanze e case trascurate possono diventare insidiose e puzzolenti…».
E se l’amore ce l’avesse con me perché mi sono rifiutato di aprire la porta di quella camera per farci… cosa? Cosa dovrei fare? Costruire un altare a Manon? Dire addio? Cosa dovrei fare?

[..] Nei sogni della nostra vita siamo immortali. E i morti continuano a vivere nei nostri sogni. I sogni sono le porte girevoli fra tutti i mondi, fra il tempo e lo spazio.


[..] Con le verità andiamo sempre dritti e chiari al punto. Da ragazzina ho imparato che le relazioni migliori sono quelle «chiare come l’acqua». Quando le cose difficili vengono dette ad alta voce perdono il loro potenziale nocivo.


[..] Devo stare con Jean perché lui è la mia parte maschile. Ci guardiamo e vediamo la stessa persona.
Luc è l’uomo con cui guardo verso la stessa direzione, uno accanto all’altra.



[..] Sottomettiti, se ci riesci, ma non osare umiliarmi, chiedeva la sua bocca.
E guai se hai paura di farmi male. Sono delicata, ma sento la delicatezza solo nella passione violenta. E mi posso ribellare!


Manon aveva schiacciato quella rigidità come una noce tra le sue mani, le sue mani nude, le sue dita nude, le sue gambe nude…
Mi ha liberato da tutto ciò che è nemico dell’uomo. Dal silenzio e dalle inibizioni. Dall’obbligo di dover fare sempre la cosa giusta.

Era sempre così, come se ci fosse un tappo di abitudine, tempo e paura sedimentati, che gli vietava di interrompere il suo personale corteo funebre. Sentiva di essere abitato da lacrime di pietra che impedivano ad un altro di trovare posto dentro di lui.


[..] L’abitudine è una dea pericolosa e vanesia. Non permette a nulla distruggere il suo regno. Sopprime il bisogno del nuovo, il bisogno di viaggiare, di un altro lavoro, di un nuovo amore. Impedisce di vivere come vogliamo. Perché per abitudine non riflettiamo più se vogliamo davvero ciò che vogliamo.

[..] Zelda accarezzo la guancia irsuta di Perdu. «La conosci bene la morte, eh?». Sorrise triste. «Lui, il cancro, si chiama Lupo, come il personaggio dei fumetti. Elaia l’ha soprannominato così quando aveva nove anni. Le piace pensare che vivano entrambi in quel corpo come in una casa e che se lo dividano come coinquilini. Lei rispetta il fatto che lui a volte desideri più attenzioni. Da piccola diceva che riusciva a dormire meglio, se non pensava che la volesse distruggere. Chi distruggerebbe la casa in cui abita?»


Joaquin Perdu era rimasto in silenzio insolitamente a lungo. Poi Jean lo aveva sentito sospirare. «Ah Jeanno… avere un bambino è come rinunciare alla propria infanzia per sempre. È come se finalmente capissi che cosa significa davvero essere uomo. Hai anche paura che tutte le tue debolezze vengano a galla, perché essere padre vuol dire essere più di quello che puoi fare… Ho sempre sentito il bisogno di guadagnarmi il tuo amore. Perché ti volevo molto bene, molto.»


[..] Perdu annuì. «L’unica cosa sbagliata è che molte done pensano davvero che il loro corpo debba essere perfetto per essere amate. Invece deve essere solo in grado di amare e lasciarsi amare».


[..] Jean Perdu pensò alla poesia di Hesse, Gradini. La maggior parte delle persone conosceva il verso «Ogni inizio contiene una magia…» ma come continuava, «… che ci protegge e a vivere ci aiuta», lo sapevano solo pochi e quasi nessuno capiva che Hesse non parlava di nuovi inizi.
Ma di essere pronti a dire addio.
Addio alle abitudini.
Addio alle illusioni.
Addio a una vita finita da tempo e in cui si è stati solo un involucro animato di tanto in tanto da un sospiro.


[..] Proprio così: bisogna cantare. Piangere di felicità. Ho ricominciato a cantare sotto la doccia mentre saltello colpito da getti d’acqua. A volte però mi sento stretto dentro di me. Come se vivessi in un cesto invisibile che mi rinchiude e tiene lontano dagli altri. In quei momenti anche la mia voce sembra inutile.


Samy mi ha regalato l’ultima delle sue perle di saggezza. La mi piccola grande amica. Stranamente non ha tuonato, di solito le piace molto, mi ha abbracciato mentre ero seduto a guardare il mare e a contare i colori. Poi ha sussurrato pianissimo: «Lo sai che fra la fine e il nuovo inizio c’è un mondo di mezzo? È il tempo ferito, Jean Perdu. È una palude dove si raccolgono sogni, paure e intenzioni perdute. I passi in questo tempo si fanno più pesanti. Non sottovalutare questa situazione di passaggio fra la fine e il uovo inzio, Jeanno. Datti tempo. A volte le soglie sono così grandi che non si possono superare con un solo passo».
 


[..] «Sei ancora troppo piccola per questo, te lo spiego quando sei più grande». Personalmente penso che non ci siano domande troppo grandi, basterebbe solo adattare le risposte.


Il dolore arrivava spesso quando dormiva e poi gli si appendeva addosso. Proprio quando era rilassato, pronto per lasciarsi andare alla deriva, quello tornava. Se ne stava lì sdraiato nel buio e piangeva lacrime amare, il mondo in quei momenti era piccolo come la stanza, solo e spoglio. In quelle occasioni temeva di non poter tornare mai più a sorridere e che una sofferenza del genere non sarebbe mai finita.


Ma quale libro mi può liberare?
Quando trovò la risposta gli scappò quasi da ridere. «I libri possono fare molto ma non tutto. Le cose importanti bisogna viverle e non leggerle. Io devo ancora… vivere il mio libro».
MM gli sorrise con la sua grossa bocca larga.
«È un peccato che il suo cuore non veda donne come me».
«Ma non vede nemmeno le altre, Madame».
«Sì, questo mi consola», disse lei. «Un pochino».


[..] Aveva toccato il fondo delle sue sofferenze fatte di disperazione e di rabbia. Aveva scavato, scavato e scavato via tutto. E d’un tratto c’era spazio vuoto.
Si precipitò in casa. Vicino alla credenza teneva sempre carta e penna. Ora scrisse impaziente:

Catherine,
non so se riusciremo a non ferirci a vicenda. Probabilmente no, perché siamo esseri umani.
Ma quello che so in questo momento, tanto atteso, è che una vita con te mi farebbe riposare meglio. E svegliare meglio. E amare meglio.
Voglio cucinare per te quando sarai di cattivo umore per la fame, per tutti i tipi di fame: di vita, di amore, di luce, mare, viaggi, letture, sonno.
Ti spalmerò la crema sulle mani se hai dovuto toccare troppe pietre ruvide: in sogno ti vedo come una salva-pietre in grado di vedere l’amore che scorre sotto gli strati di sassi.
Ti seguirò con lo sguardo mentre percorri una strada insicura e poi ti giri ad aspettarmi.
Voglio tutte le cose piccole e grandi: voglio litigare con te e poi riderci sopra insieme, nelle giornate fredde voglio mangiare la cioccolata nella tua tazza preferita e voglio aprirti la portiera dell’auto dopo una festa con gli amici simpatici e ospitali.
Voglio sentire le tue cosce morbide che premono sopra la mia pancia calda.
Voglio fare tante piccole e grandi cose con te, con noi, tu, io, noi insieme, te in me e io in te. Catherine, ti prego: vieni! Vieni presto!
Vieni da me!
L’amore è meglio del suo richiamo.
Jean
P.S.: Dico sul serio!



[..] Al bar poteva stare in mezzo alla vita senza dare nell’occhio, non parlando o non partecipando.

mercoledì 21 dicembre 2016

Questo amore - Jacques Prévert

Questo amore
Questo amore
Così violento
Così fragile
Così tenero
Così disperato
Questo amore
Bello come il giorno
E cattivo come il tempo
Quando il tempo è cattivo
Questo amore così vero
Questo amore così bello
Così felice
Così gaio
E così beffardo
Tremante di paura come un bambino al buio
E così sicuro di sé
Come un uomo tranquillo nel cuore della notte
Questo amore che impauriva gli altri
Che li faceva parlare
Che li faceva impallidire
Questo amore spiato
Perché noi lo spiavamo
Perseguitato ferito calpestato ucciso negato dimenticato
Perché noi l’abbiamo perseguitato ferito calpestato
ucciso negato dimenticato
Questo amore tutto intero
Ancora così vivo
E tutto soleggiato
E tuo
E mio
È stato quel che è stato
Questa cosa sempre nuova
E che non è mai cambiata
Vera come una pianta
Tremante come un uccello
Calda e viva come l’estate
Noi possiamo tutti e due
Andare e ritornare
Noi possiamo dimenticare
E quindi riaddormentarci
Risvegliarci soffrire invecchiare
Addormentarci ancora
Sognare la morte
Svegliarci sorridere e ridere
E ringiovanire
Il nostro amore è là
Testardo come un asino
Vivo come il desiderio
Crudele come la memoria
Sciocco come i rimpianti
Tenero come il ricordo
Freddo come il marmo
Bello come il giorno
Fragile come un bambino
Ci guarda sorridendo
E ci parla senza dir nulla
E io tremante l’ascolto
E grido
Grido per te
Grido per me
Ti supplico
Per te per me per tutti coloro che si amano
E che si sono amati
Sì io gli grido
Per te per me e per tutti gli altri
Che non conosco
Fermati là
Là dove sei
Là dove sei stato altre volte
Fermati
Non muoverti
Non andartene
Noi che siamo amati
Noi ti abbiamo dimenticato
Tu non dimenticarci
Non avevamo che te sulla terra
Non lasciarci diventare gelidi
Anche se molto lontano sempre
E non importa dove
Dacci un segno di vita
Molto più tardi ai margini di un bosco
Nella foresta della memoria
Alzati subito
Tendici la mano
E salvaci.


L' atelier dei miracoli - Valérie Tong Cuong

Tagliare? Come può sembrare rassicurante una parola tanto affilata?


[..] la verità brilla per la sua assenza [..]


È allora che bisogna combattere per riportarli alla vita.
Prendere la mano di colui che non te la tende, forzare il destino, offrire uno specchio magico che mostri a coloro che sono accecati dalla sofferenza quello che hanno di bello e di grande.

L'ultima riga delle favole - Massimo Gramellini

C’era una volta - e c’è ancora - un’anima curiosa che cagava per gli spazi infiniti senza  un amore dentro il quale tuffarsi. Stava andando alla deriva dentro un mare di noia quando sentì pulsare qualcosa. Una luce, fatta di musica. E rimase inebetita da tanta bellezza. Disse solo una parola e si tuffò dentro si te.
Allora vi siete dimenticati di tutto e avete incominciato a vivere. Tu e la tua anima.
Per sempre felici e contenti, prometteva l’ultima riga delle favole. Invece siete finiti in una gabbia, e le sue sbarre le ha costruite il dolore. Non riuscite più a stare insieme e neppure a staccarvi. Vi trascinate senza meta sotto il peso dell’infelicità e nei vostri pensieri il futuro assomiglia a un deserto dove la nostalgia prevale sul sogno e il rimpianto sulla speranza.
Lettrice o lettore, non ti crucciare. Prima o poi - e più prima che poi – sentirai in sogno una voce di flauto-
«Lei è la tua anima, mica un accidente. Se non te innamori, non amerai mai niente».



All’improvviso la fiamma di un faro lontano riversò nel loculo una luce tiepida. Tomas si accorse che tutte le pareti erano di vetro e che lo sgabuzzino era completamente circonda dall’acqua.
Fu trafitto da una voce metallica.
«Tu vivi chiuso in una scatola trasparente, costruita dalle tue paure. Rompila e scoprirai di essere molto più di ciò che credi.»
Alzò gli occhi al soffitto e vide una sirena dai fianchi flessuosi che gli sgranava addosso i denti cariati da strega.
«Mai fidarsi delle apparenze, Tomas. Il mondo che si trova al di là del vetro potrebbe arrivarti deformato, Le pareti della scatola le ha partorite la tua mente e il loro nome comincia sempre per NON. NON posso. NON ce la farò mai. NON dipende da me, la più estesa di tutte. Ma, se guardi in alto, troverai la quarta, che sia chiama NON ci credere.»
«Voglio uscire di qui!»
«Allora fallo. Le pareti del NON sembrano infrangibili eppure basta che tu decida di oltrepassarle perché si sbriciolino. Non hai altri limiti di quelli che ti sei posto da solo.»
Tomas si volse verso la vetrata dei NON posso e incrociò lo sguardo poco rassicurante di una murena.
«È il proiettore della tua immaginazione che l’ha prodotta. Puntalo verso di te e scomparirà», disse la bocca ariata.


«Smetti di tormentarti con le tue allucinazioni».


«La libertà può far male a chi esce troppo in fretta dalla scatola. Per diventare libero fuori, dovrai prima imparare ad esserlo dentro».


«Mi dispiace sono la persona meno adatta a consolare chi ha paura di morire». «Io non ho paura di morire», aveva risposto la signora, «ho voglia di vivere con te».


«La rovina non sta nell’errore che commetti, ma nella scusa con cui cerchi di nasconderlo».


«Se vuoi fare un passo in avanti, devi perdere l’equilibrio per un attimo».


«Non esiste una gomma per cancellare i ricordi. Però esiste qualcosa che può ripulirli da tutto il dolore che contengono».
Noah era tornato e gli stava allungando un cubetto biancastro.
«E questo cosa sarebbe?» chiese Tomas, tenendolo sul palmo della mano.
«Il sapone del perdono».


«Chi vede nell’altro un nemico contempla l’immagine deformata di se stesso», sentenziò una voce bene nota.


«… sei diventato furbo e infelice… per farti accettare dagli altri… hai dovuto amputarti come loro… staccando il filo che collega il cervello alla camera del cuore»


«Sii grato a tuo padre: ti ha insegnato l’amore» insistette Morena.
«Mi ha insegnato ad averne paura. L’more è una bestia che ti mangia il cuore e scompare. O come nel suo caso, si attacca ala gola e ti spolpa».


«Non so se qualcuno ti abbia mai lasciato», proseguì Tomas. «Se hai conosciuto anche tu questo strappo improvviso al centro dello stomaco. Quando il distacco diventa ossessione e si mescola alla paura che non troverai più niente di simile a ciò che hai appena perduto».


«Una luce troppo forte acceca chi sta nell’oscurità. Uno alla volta vanno tolti i veli, con infinita pietà. Solo chi è passato oltre il dolore potrà conoscere il volto vero dell’amore».
Tomas osservò il Cantastorie in silenzio. Immaginò di abitare il suo corpo e di pensare i suoi pensieri. Quella voce di donna e di uomo, insieme. Quelle fattezze di uomo e di donna, insieme.
«Se tutti i personaggi delle favole abitano dentro la stessa persona, allora anche tutto l’amore…»
Il Cantastorie sorrise.
«Tu sei… l’amore!» urlò Tomas.
«Androgino è il mio nome. Coui che ha realizzato dentro di sé l’amore, mettendo insieme il maschio con la femmina ed entrambi col suo cuore. Io sono il sole e la luna, il pane e il vino. La luce e la tenebra, l’opaco e il cristallino. Il mare e le stelle, il suddito e il re. L’Uno che voi cercato in Due, io lo creo in me.»
«Chi ti ha dato questo potere?»
«Non è un potere, è una possibilità. Chiunque evolvere potrà.»


«Ti innamori della persona sbagliata perché ti conferma nell’idea negativa che hai di te. L’amore disperato sembra sempre più passionale. Ma la persona giusta è soltanto quella che combacia con le tue energie interiori».

Il Priogioniero del Cielo - Carlos Ruiz Zafón

«A volte ci si stanca di fuggire» disse Fermin. «Il mondo è molto piccolo quando non si ha dove andare».


«In questa vita si perdona tutto, tranne dire la verità».

martedì 20 dicembre 2016

Non dire gatto... - Barbara Constantine

[..] Perché è così facile dare un taglio alla vecchiaia degli animali e non a quella degli esseri umani, se si pensa davvero che sia pura sofferenza?

Un giorno, quando guardando dalla finestra...

Un giorno, quando guardando dalla finestra,
non vedrò più guerre, prenderò un albero,
lo vestirò di stelle e quel giorno sarà Natale.
(Anonimo)

Pietro Citati

Se vogliamo conoscere il senso dell'esistenza, dobbiamo aprire un libro: là in fondo, nell'angolo più oscuro del capitolo c'è una frase scritta apposta per noi.

domenica 18 dicembre 2016

Se per un istante Dio - Gabriel García Márquez

Se per un istante Dio si dimenticherà che
sono una marionetta di stoffa e
mi regalerà un poco di vita, probabilmente non
direi tutto quello che penso,
ma in definitiva penserei tutto quello che dico.
Darei valore alle cose, non per quello che valgono,
ma per quello che significano.
Dormirei poco, sognerei di più,
capisco che per ogni minuto che chiudiamo gli
occhi, perdiamo sessanta secondi di luce.
Andrei avanti quando gli altri si fermano,
starei sveglio quando gli altri dormono,
ascolterei quando gli altri parlano e
come gusterei un buon gelato al cioccolato!!
Se Dio mi regalasse un poco di vita,
vestirei semplicemente,
mi sdraierei al sole lasciando scoperto non solamente
il mio corpo ma anche la mia anima.
Dio mio, se io avessi un cuore, scriverei
il mio odio sul ghiaccio e
aspetterei che si sciogliesse al sole.
Dipingerei con un sogno di Van Gogh
sopra le stelle un poema di Benedetti
e una canzone di Serrat sarebbe la serenata
che offrirei alla luna.
Innaffierei con le mie lacrime le rose,
per sentire il dolore delle loro spine
e il carnoso bacio dei loro petali...
Dio mio, se io avessi un poco di vita...
Non lascerei passare un solo giorno
senza dire alle persone che amo,
che le amo.

Convincerei tutti gli uomini e le donne
che sono i miei favoriti e
vivrei innamorato dell'amore.
Agli uomini proverei
quanto sbagliano al pensare
che smettono di innamorarsi
quando invecchiano, senza sapere
che invecchiano quando smettono di innamorarsi.
A un bambino gli darei le ali,
ma lascerei che imparasse a volare da solo.
Agli anziani insegnerei
che la morte non arriva con la vecchiaia
ma con la dimenticanza.
Tante cose ho imparato da voi, gli Uomini!
Ho imparato che tutto il mondo ama vivere
sulla cima della montagna,
senza sapere che la vera felicità
sta nel risalire la scarpata.
Ho imparato che
quando un neonato stringe con il suo piccolo pugno,
per la prima volta, il dito di suo padre,
lo tiene stretto per sempre.
Ho imparato che un uomo
ha il diritto di guardarne un altro
dall'alto al basso solamente
quando deve aiutarlo ad alzarsi.
Sono tante le cose
che ho potuto imparare da voi,
ma realmente,
non mi serviranno a molto,
perché quando mi metteranno
dentro quella valigia,
infelicemente starò morendo.


Alejandro Jodorowsky

Essere la metà di tutto sempre.


La felicità ci sta cercando,
siamo noi che facciamo finta di non vederla.


Non posso cambiare il mondo, ma posso incominciare a farlo.

La piccola mercante di sogni - Maxence Fermine

Quando si scompare per la prima volta, lo si fa in sogno.
La seconda volta, non si sogna più.
La terza volta, non si vive più che nei sogni delle persone che si sono conosciute.


«Se vuoi prima diventare mio amico, devi per prima cosa svestirsi della tua tristezza… »


«Aspetti qualcuno?»
«Si aspetta sempre qualcuno nella vita, ma è raro che arrivi in tempo e in orario» rispose prontamente Lili.
Un silenzio, poi Malo chiese:
«Che cosa contengono le scatole?»
«Un po’ di felicità»
«Credevo che la felicità non si comprasse»
«La felicità forse no, ma i sogni a colori sì»
Gli occhi di Malo brillarono di mille luci. Osservò un secondo di silenzio, poi continuò di slancio:
«A che cosa serve vendere i sogni?»
«Non esiste niente di meglio per colorare l’anima e darla felice».

Cose che nessuno sa - Alessandro D’Avenia

Le parole per i vecchi e per i bambini non servono a spiegare, giustificarsi, giudicare, a sono come nodi su un filo, servono ad assicurare che i mondo è rimasto in ordine; Cu’ nun fa lu gruppu a la gugliata, perdi lu cuntu cchiù di na vota. Così diceva la nonna, ma nessuno capiva che affermava una verità semplice come le sue ricette: chi non fa i nodi perde il filo. Anche nella vita.


Aprì l’armadio e le sembrò un deserto di legno. Per metà era vuoto, il vuoto tristemente desolante delle cose che siamo abituati ad amare solo piene: le piscine, le buste, le culle.


Non cercare ora risposte che non possono venirti da te perché non le potresti vivere. E di questo si tratta: di vivere tutto. Vivi ora le domande. Forse ti avvicinerai così, a poco a poco, senza avvertirlo, a vivere un giorno lontano, la risposta.


«In realtà quando un predatore entra nella sua conchiglia nel tentativo di divorare il contenuto e non ci riesce, lascia dentro una parte di sé che ferisce e irrita la carne del mollusco, e l’ostrica si richiude e deve fare i conti con quel nemico, con l’estraneo. Allora il mollusco comincia a rilasciare attorno all’intruso stravidi se stesso, come fossero lacrime: la madreperla. A cerchi concentrici costruisce in un periodi di quattro o cinque anni un perla dalle caratteristiche uniche e irripetibili. Ciò che all’inizio serviva a liberare e difendere la conchiglia da quel che la irritava e distruggeva diventa ornamento, gioiello prezioso e inimitabile. Così la bellezza: nasconde delle storie, spesso dolorose. Ma solo le storie rendono le cose interessate…»


Il guaio delle parole è che sono solo parole, le puoi far nascere anche quando sono morte.


Per la prima volta in vita sua ebbe paura: ciò che voleva forse senza nemmeno saperlo, gli era apparso nella cosa più fragile che avesse mai visto.

 
La ragazza parlava di lei: «Quella è strana forte». Le altre ridevano, senza crudeltà, ma con tutta la fragilità di chi ha bisogno di ripararsi sotto un luogo comune e schierarsi conto qualcuno per sentirsi protetto dalla piccolezza della propria identità.


Erano lacrime diverse: provenivano da quel pezzo di anima che a tenerlo intatto e pulito e magari ad ascoltarlo, ci si salva.
E invece si fa a gara ad asciugarle subito le lacrime. Le lacrime, un lusso che solo i deboli possono concedersi.


«Amore è ciò per cui i liberi divengono prigionieri e i prigionieri liberi»


Ridevano, ridevano e ridevano nel modo semplice che ha la vita quando smette di prendersi troppo sul serio.


In quella stessa ora che dona un corpo alle cose invisibili, sogni, stelle, spiriti e amanti, Andrea si infilò sotto il lenzuolo di Margherita, si accoccolò contro la sorella. Il corpo tiepido di lei lo rassicurò e dopo qualche minuto di silenzio disse:
«Ho paura del buio.»
«Il buio non c'è, Andrea.»
«Invece sì.»
«Il buio è la luce spenta.»
«Nel buio ci sono i mostri. Alla luce non si vedono.»
«Tu li hai mai visti?»
«Sì.»
«E come erano?»
«Brutti.»
«Perchè, cosa facevano?»
«Paura.»
«Come?»
«Con il buio: come fanno i mostri. Ti fanno paura perchè si nascondono, ma ci sono.»
«Dove si nascondono?»
«Negli angoli, nei buchi, ed escono col buio. Di giorno ti seguono da dietro, non hanno il coraggio di venirti davanti perchè la luce li soffia dietro di te. Però copiano tutto quello che fai.»
«Perchè?»
«Sono invidiosi.»
«E fanno male?»
«Sì.»
«Come?»
«Con il buio.»
«Ah...»
«Ma anche loro hanno una paura.»
«Quale?»
«Sono sempre soli e ti attaccano quando sei solo anche tu.»
«E se siamo in due?»
«Non attaccano.»
«Perchè?»
«Perchè in due c'è luce.»
«Ma se è tutto buio!»
«No, c'è una luce che solo i mostri vedono.»
«Che luce?»
«La luce che si accende quando due persone sono vicine e si abbracciano, come nella lampadina.»
«Che c'entra?»
«Dentro la lampadina ci sono le braccia e in mezzo passa la luce.»
«E come mai noi non la vediamo?»
«Perchè è una luce nascosta. Si vede solo nei disegni. Quando due persone si vogliono bene, nessun mostro può fare niente.»
«Ci sono molti mostri qui a casa?»
«Adesso si, perchè prima la luce di papà e mamma li teneva tutti lontani.»
«E ora?»
«La luce si è fulminata. Ora stanno uscendo tutti dagli angoli e dai buchi. E hanno fame.»
«Cosa mangiano?»
«Il sonno.»
«Il sonno?»
«Sì loro ti tengono sveglio e tutto il sonno che tu vuoi dormire lo risucchiarono.»
«E cosa ci fanno?»
«Crescono, diventano sempre più grandi.»
«E poi?»
«Poi non entrano più nei buchi e negli angoli e allora vanno dapperttutto.»
«Mmm...»
«Dobbiamo farli morire di fame..»
«Come?»
Andrea abbracciò la sorella. Si aggrappò a Margherita come se fosse un salvagente e cominciò a galleggiare nel sonno pochi secondi dopo. Margherita non riusciva a dormire, ma almeno quella notte i mosti avrebbero lasciato in pace suo fratello e divorato solo il suo sonno. Chi ha un amore che veglia può dormire sonni tranquilli.
Ma l’amore a volte si fulmina: perché a poco a poco il filo si assottiglia a causa di quello stesso calore che lo accende.


Chiese dov’era il bagno e cercò di nascondere le lacrime sciacquandosi il viso, ma niente macchia gli occhi come le lacrime.

 
Eleonora abbracciò il figlio e cercò di asciugare le lacrime perché non fossero troppo evidenti, ma una cadde sul foglio e creò una specie di aureola umida sulla donna in attesa. Il colore del dolore non poteva che essere quello. Adesso il disegno era perfetto.
Abbracciò il figlio e si perdonò di cercare la forza nell’unico uomo che le era rimasto.


Rimase a fissare nello specchio le gocce che le scendevano lungo il corpo. Il suo corpo le apparve così com’era. Da quando il padre l’aveva abbandonata era come scorticata, riusciva a vedere la carne. Prima era troppo vicina a se stessa per vedersi. Ora il dolore aveva creato lo spazio per guardarsi, per cercarsi, per essere. Solo l’amore riesce a fare altrettanto.


«Di cosa sono fatte le stelle?»
«Di luce» rispose Andrea sicuro, senza neanche capire cosa stesse dicendo.
«E perchè» chiese la maestra, presa dall’entusiasmo.
Eleonora fissava il figlio, che la guardava in cerca di una risposta a una cosa che nessuno sa.
«Perché, Andrea?» domandò Eleonora con dolcezza.
«Perché la Terra è piena di buio».


Nella vita di tutti i giorni nessuno ti chiede di raccontare la storia che ti morde il cuore e te lo mastica, e se qualcuno te la chiede, nella vita di tutti i giorni nessuno riesce a raccontare quella storia, perché non trovi mai le parole adatte, le sfumature giuste, il coraggio di essere nudo, fragile, autentico.


Forse la vita è questo: amare, soffrire e quel che scegli di fare nel frattempo.


«Prof, l’amore non è un aperitivo o una cena fuori, ma una dannatissima quotidianità che diventa una sorpresa ogni giorno grazie al fatto di essere in due. Tu questo non lo sai. Tu non sai cos’è amare. Tu ti esalti con i tuoi libri, ami loro, non le persone. Ami le parole, non la vita, perché la vita ha ombre a fa male. Tu parli, parli, ma non ascolti. Tu prendi, prendi, ma non dai nulla.»


Il professore rimase immobile a guardare un libro, senza leggerne neanche il titolo. Quelle parole lo avevano inchiodato alla verità, quando la si ascolta tutta insieme e non si ha la forza di accoglierla.
 

«La libertà? Tienitela la tua libertà, e quando ti sentirai solo con la tua libertà non venire a cercarmi, però. Come un adolescente tu sia sognare, ma come un adolescente credi che la libertà sia fare quello che vuoi e che i tuoi sognasi realizzino esattamente come li sogni. Ma la realtà dove l’hai messa? Sognare dentro la realtà: questo rende i sogni più grandi, veri, palpabili! Diventare adulti e trovare è trovare la pazienza di dare corso ai propri sogni, senza rinunciarci!»


Mi sento come l'aereo, che è precipitato. Distrutta.
Mi sento come il deserto, che è monotono. Noiosa.
Mi sento come il pilota, che è lì da solo. Disperata.
Mi sento come l'elefante, che è stato mangiato dal serpente. Inghiottita.
Mi sento come il bambino, che non viene preso sul serio. Incompresa.
Mi sento come la pecora, che è stata disegnata nella scatola. Imprigionata.
Mi sento come il pianeta, che è lontano. Piccola.
Mi sento come il tramonto del sole, che è diventato abitudine. Senza valore.
Mi sento come il baobab, che è un pericolo. Indesiderata.
Mi sento come il vulcano, che sta per esplodere. Impaziente.
Mi sento come il re, che si aspetta troppo. Delusa.
Mi sento come il vanitoso, che vorrebbe essere ammirato. Insoddisfatta.
Mi sento come l'ubriacone, che beve per dimenticare. Dipendente.
Mi sento come l'uomo che accende i lampioni, oppresso dalla consegna. Schiacciata.
Mi sento come il geografo, che vuol capire tutto ciò che esiste. Ignara.
Ma sono anche il fiore, che ama il Piccolo Principe. Sono anche il Piccolo Principe, che vuole addomesticare la volpe. Sono la volpe, che riesce a fidarsi di qualcuno, costi quel che costi.
E di me si deve prendere tutto, quello che sono e quello che non sono.
Ma ho una paura dannata del morso del serpente.
Quattordicianni - lo scrisse tutto unito come fosse il nome di un personaggio - non è un'età. Non è niente. Non c'è la sicurezza  che accende gli occhi di Giulio. Non ci sono le rughe sul viso della nonna. Non ci sono le riunioni di lavoro di papà. Non ci sono gli abiti da donna della mamma. Non c'è la magica fiducia di Andrea. Non c'è armonia, non c'è grazia. Quattordicianni è volere tutto e niente nello stesso momento. Avere segreti inconfessabili e domande senza risposta. Odiare sé per odiare tutti. Avere tutte le paure e nasconderle tutte, pur volendole dire tutte insieme, con mille bocche. Avere centomila maschere senza cambiare mai la faccia che ti ritrovi. Avere un milione di sensi di colpa e dover scegliere a chi addossarli per non doverli portare tutti da sola. Vuoi amare e non sai come si fa. Vuoi essere amata e non sai come si fa. Vuoi stare da sola e non sai come si fa. Vuoi un corpo di donna e non ce l'hai, e se il corpo diventa di donna non lo vuoi più. Quattordicianni è fragilità e non sapere come si fa. Ci sono cose che nessuno spiega. Ci sono cose che nessuno sa.


«Ho un regalo per te» disse Margherita.
Marta si illuminò. Margherita aprì la mano e c’era un piccolo pezzo di puzzle rosso mogano, come lo scafo della barca. Marta la guardò incerta e Margherita le spiegò il grande rompicapo della vita.
«Adesso la mia vita dipende anche da te.»
Marta prese il pezzo di anima che le veniva affidato e abbracciò Margherita in modo perfetto, proprio come fanno due pezzi di puzzle.


Ci sono dolori in cui nessuno può entrare. Ci sono cose che bisogna fare da soli.


«Le persone sono fatte di luci e ombre. Finché non conosci le ombre non sai niente di una persona. Cerca di vedere le ombre prima delle luci, altrimenti resti delusa.»


Tu non vuoi che gli altri vedano le tue fragilità. Hai paura che ne ridano. Ma quello che ti sfugge è che io ti guardo da vicino. Io ti ho scelto. Io ti amo. Io voglio vivere con te.


«Senza di te avrei capito così poco di me… Grazie.»


«…Quando tutti hanno ragione non si parla: si discute, si litiga, ma non si parla.»


Perché ogni cosa bella troppo spesso è quel che resta di un naufragio.


L’unica forza per stare in equilibrio sul filo della vita è il peso dell’amore.


L’altro diventa lo specchio di tutto ciò che non ci piace di noi stessi: così lei è diventata tutte le mie ombre, le mie bugie, i miei sottorifugi e soprattutto la mia pretesa di essere amato come volevo io invece di crescere nell’amarla.

 
«Qualunque sia la cosa che ti è cara, il tuo cuore prima o poi dovrà soffrire per quella cosa, magari anche spezzarsi. Vuoi startene al sicuro? Vuoi una vita tranquilla come tutti gli altri? Vuoi che il tuo cuore rimanga intatto? Non darlo a nessuno! Nemmeno a un cane, o un gatto,o a un pesce rosso. Proteggilo, avvolgilo di passatempi e piccoli piaceri… Evita ogni tipo di coinvolgimento, chiudilo con mille lucchetti, riempilo di conservanti e mettilo in freezer: stai sicuro che non si spezzerà… Diventerà infrangibile e impenetrabile. Sai come si chiama questo, Giulio?» chiese Filippo, che si era infervorato nel parlare. Gli era spuntata una vena sulla fronte.Giulio scosse la testa. Voleva sentire il seguito.
«Inferno. Ed è già qui: un posto dove il cuore è totalmente ghiacciato. Sicuro, ma freddo. Là fuori è pieno di queste persone. Glielo leggi in faccia che hanno il cuore freddo: per paura, per mancanza di fame, per pigrizia. Tu non sei così, Giulio. Questo ti salva, anche se fai delle gran cavolate… Perché c’è modo e modo di tirare i rigori!»

Mine vaganti

Non farti dire dagli altri chi devi amare e chi devi odiare.
Sbaglia sempre per conto tuo.

Una ragazza e il suo sogno

Perché ci tieni tanto ad inserirti nel gruppo,
quando sei fatta per emergere.

mercoledì 7 dicembre 2016

Che cosa ti aspetti da me - Lorenzo Licalzi

Ma come fanno le donne ad essere così fragili eppure così forti? Di quanti strati è composta la loro personalità? Quale segreto nascondono infondo all’anima? Lo sanno, loro, almeno lo sanno? Io credo di no, altrimenti non si porterebbero dentro quel sottile disagio esistenziale, quell’impalpabile senso di inadeguatezza che le rende così misteriose e vulnerabili, così sensibili e complicate, così imprevedibili. Vivi con un uomo per qualche giorno e lo conosci per tutta la vita. Una donna, invece, puoi passarci una vita e un giorno ti sorprenderà, e forse sorprenderà anche se stessa.

Sono stati anni bui, quelli, anni silenziosi, quando il silenzio non è una scelta. Se non hai nessuno con cui parlare la vita finisce per essere un soliloquio. Lo è sempre, intendiamoci, ma la conversazione distrae, distrae da quell’essere che hai dentro e che non ti dà tregua. Ho finito per convincermi che i libri o i film o tutto quello che facciamo, in fondo non serve che a questo, a fuggire da noi stessi, da questo esistente che noi sempre siamo, come direbbe Heidegger.
 
Gli altri, il mondo intero, sono un film che guardi neppure troppo interessato, ma non è la tua vita, della tua vita ci sei rimasto solo tu. E così la vita in un mondo che non ti appartiene finisce per perdere tutto il valore che ha.
 
Mi è sempre piaciuto guardare il cielo di notte. Osservarlo generava in me emozioni molto intense. Forse tutto dipende dalla paradossale combinazione tra la percezione di chiuso e intimo che dà il buio con quella di imprendibile e sconfinato che provocano le stelle.
 
Ci sono alcuni personaggi periferici talmente ottenebrati dalla vecchiaia che la vecchiaia nemmeno li sfiora. Vite che si consumano comete macchine accatastate nei parcheggi degli sfasciacarrozze. Essere umani da rottamare. Dove li metti stanno, non faranno richieste, aspettano Anzi neppure quello. L’attesa richiede una partecipazione emotiva che loro non hanno. Ogni giorno osservano inermi il trafficare degli infermieri sul loro corpo come fosse il corpo di un altro.

L’unica risposta che mi sono dato, allora, è quella di un Dio che si è ritirato dalla Creazione e sta a guardare. È curioso, interessato, emotivamente partecipe, ma non sa come andrà a finire la Partita, neppure in quest’angolo remoto del cosmo. Separandosi dalla Creazione e affidandosi al caso ha scelto di non sapere, di non interferire.
Quale Dio altrimenti potrebbe vedere morire un bambino di cancro o di Aids e non far nulla? Quale Dio potrebbe permettere un’infanzia fatta di radiazioni e di letti d’ospedale, con i capelli radi e le vene fragili, o di fame dimenticata, con la pancia grossa e le mosche negli occhi, o di abbandono e di maltrattamenti, con i vestiti sporchi e i lividi sul corpo.
Un infanzia senza l’angelo custode, oppure con angelo custode indifferente o impegnato altrove, forse da altri bambini che di angeli al loro fianco sembrano averne due. Quale Dio potrebbe lasciare morire un bambino solo perché rincorreva un pallone? Quale angelo po’ distarsi fino a questo punto?
No, Dio non esiste, perché se esiste un Dio che consente il dolore del mondo come effetto collaterale della sua conoscenza – se pure la contropartita è la nostra libertà - è un Dio difficile da accettare, soprattutto per me, che ho pagato sulla mia pelle. E nessuno mi dica, invece, che l’agire divino è inafferrabile e misterioso, che Dio sta al di là di tutte le idee di giustizia che possiamo avere su di Lui, perché non posso accettare neppure questo. Sono disposto, anche se con grande disagio, a sopportare la mia sofferenza e quella degli altri, anche quando sembra accanirsi, ma non sono disposto a accettare la sofferenza di un bambino nascondendomi dietro alle imperscrutabili motivazioni dell’agire divino. È facile vedere Dio nella bellezza della natura o nella perfezione delle dinamiche cosmiche, ma allora lo si dovrebbe vedere anche nelle putride discariche di Calcutta, che sono le case di bambini che si cibano di spazzatura, o in certe camere di albergo a Bangkok, e nella supplica che il bambino rivolge al pedofilo che lo violenta e che si esalta, il bastardo, si esalta per quella preghiera. Lo si dovrebbe vedere, certo, ma io non lo vedo.
E pensare che invece c’è stato un tempo in cui l’ho pregato, Dio, gli ho chiesto di salvare David. Non l’ha fatto. Perché? Eppure qualche volta lo fa, sembra che faccia miracoli. Con quale criterio? Ci sono forse bambini che meritano più di altri di essere salvati? David non lo era, meritevole? Non posso credere che Dio premi i figli di quelli che hanno più fede in Lui, perché i bambini sono tutti uguali.
 
I vecchi possono dire ciò che vogliono, quasi come i bambini, quelli più piccoli, perché agli altri non è più concesso. I vecchi scorbutici posso risultare persino simpatici, non hanno più niente da perdere o da dimostrare. Possono dire a un cretino che è cretino senza aver paura che questo si offenda, e se per caso è davvero così cretino da offendersi, loro, i vecchi se ne fregano. Ma siamo in pochi ad averlo capito, siamo in pochi ad aver superato ogni forma di ipocrisia, siamo in pochi ad esserci conquistati il lusso della sincerità.
 
Solo se si ha un corpo disfatto come il mio, solo se lei ti vede cadere quando provi a camminare, solo se lei ti vede mangiare con difficoltà o ti deve imboccare puoi capire intendo. Se superi la falsità dell’apparenza, la rigidità della forma, la decadenza della vecchiaia, allora non c’è nulla che ti può imbarazzare.

Ora crederete che l’amo. Non l’amo, ho bisogno di lei, ma non l’amo.
Ci ho pensato, sapete, avessi trent’anni di meno sono certo che l’amerei, ma oggi non posso più amare nessuno. Sono troppo distante da me e dalla vita per amare veramente. Ho detto che se mi guardo indietro la mia vita mi sembra quella di un altro. Va bene, d’accordo, quell’altro sapeva amare, io no.

(Stefano, fisioterapista) A me era sempre piaciuto quell’uomo, vedevo che era speciale, che dietro e dentro al suo dolore, alla sua insofferenza, al suo disincanto, alla sua ironia, c’era tutto un mondo da scoprire, a cui però fino ad allora non avevo avuto accesso. O forse ero io, che non avevo mai trovato le chiavi per aprire la porta spessa dietro la quale viveva.