Ma come fanno le donne ad essere così fragili eppure così forti? Di quanti strati è composta la loro personalità? Quale segreto nascondono infondo all’anima? Lo sanno, loro, almeno lo sanno? Io credo di no, altrimenti non si porterebbero dentro quel sottile disagio esistenziale, quell’impalpabile senso di inadeguatezza che le rende così misteriose e vulnerabili, così sensibili e complicate, così imprevedibili. Vivi con un uomo per qualche giorno e lo conosci per tutta la vita. Una donna, invece, puoi passarci una vita e un giorno ti sorprenderà, e forse sorprenderà anche se stessa.
Sono stati anni bui, quelli, anni silenziosi, quando il silenzio non è una scelta. Se non hai nessuno con cui parlare la vita finisce per essere un soliloquio. Lo è sempre, intendiamoci, ma la conversazione distrae, distrae da quell’essere che hai dentro e che non ti dà tregua. Ho finito per convincermi che i libri o i film o tutto quello che facciamo, in fondo non serve che a questo, a fuggire da noi stessi, da questo esistente che noi sempre siamo, come direbbe Heidegger.
Gli altri, il mondo intero, sono un film che guardi neppure troppo interessato, ma non è la tua vita, della tua vita ci sei rimasto solo tu. E così la vita in un mondo che non ti appartiene finisce per perdere tutto il valore che ha.
Mi è sempre piaciuto guardare il cielo di notte. Osservarlo generava in me emozioni molto intense. Forse tutto dipende dalla paradossale combinazione tra la percezione di chiuso e intimo che dà il buio con quella di imprendibile e sconfinato che provocano le stelle.
Ci sono alcuni personaggi periferici talmente ottenebrati dalla vecchiaia che la vecchiaia nemmeno li sfiora. Vite che si consumano comete macchine accatastate nei parcheggi degli sfasciacarrozze. Essere umani da rottamare. Dove li metti stanno, non faranno richieste, aspettano Anzi neppure quello. L’attesa richiede una partecipazione emotiva che loro non hanno. Ogni giorno osservano inermi il trafficare degli infermieri sul loro corpo come fosse il corpo di un altro.
L’unica risposta che mi sono dato, allora, è quella di un Dio che si è ritirato dalla Creazione e sta a guardare. È curioso, interessato, emotivamente partecipe, ma non sa come andrà a finire la Partita, neppure in quest’angolo remoto del cosmo. Separandosi dalla Creazione e affidandosi al caso ha scelto di non sapere, di non interferire.
Quale Dio altrimenti potrebbe vedere morire un bambino di cancro o di Aids e non far nulla? Quale Dio potrebbe permettere un’infanzia fatta di radiazioni e di letti d’ospedale, con i capelli radi e le vene fragili, o di fame dimenticata, con la pancia grossa e le mosche negli occhi, o di abbandono e di maltrattamenti, con i vestiti sporchi e i lividi sul corpo.
Un infanzia senza l’angelo custode, oppure con angelo custode indifferente o impegnato altrove, forse da altri bambini che di angeli al loro fianco sembrano averne due. Quale Dio potrebbe lasciare morire un bambino solo perché rincorreva un pallone? Quale angelo po’ distarsi fino a questo punto?
No, Dio non esiste, perché se esiste un Dio che consente il dolore del mondo come effetto collaterale della sua conoscenza – se pure la contropartita è la nostra libertà - è un Dio difficile da accettare, soprattutto per me, che ho pagato sulla mia pelle. E nessuno mi dica, invece, che l’agire divino è inafferrabile e misterioso, che Dio sta al di là di tutte le idee di giustizia che possiamo avere su di Lui, perché non posso accettare neppure questo. Sono disposto, anche se con grande disagio, a sopportare la mia sofferenza e quella degli altri, anche quando sembra accanirsi, ma non sono disposto a accettare la sofferenza di un bambino nascondendomi dietro alle imperscrutabili motivazioni dell’agire divino. È facile vedere Dio nella bellezza della natura o nella perfezione delle dinamiche cosmiche, ma allora lo si dovrebbe vedere anche nelle putride discariche di Calcutta, che sono le case di bambini che si cibano di spazzatura, o in certe camere di albergo a Bangkok, e nella supplica che il bambino rivolge al pedofilo che lo violenta e che si esalta, il bastardo, si esalta per quella preghiera. Lo si dovrebbe vedere, certo, ma io non lo vedo.
E pensare che invece c’è stato un tempo in cui l’ho pregato, Dio, gli ho chiesto di salvare David. Non l’ha fatto. Perché? Eppure qualche volta lo fa, sembra che faccia miracoli. Con quale criterio? Ci sono forse bambini che meritano più di altri di essere salvati? David non lo era, meritevole? Non posso credere che Dio premi i figli di quelli che hanno più fede in Lui, perché i bambini sono tutti uguali.
L’unica risposta che mi sono dato, allora, è quella di un Dio che si è ritirato dalla Creazione e sta a guardare. È curioso, interessato, emotivamente partecipe, ma non sa come andrà a finire la Partita, neppure in quest’angolo remoto del cosmo. Separandosi dalla Creazione e affidandosi al caso ha scelto di non sapere, di non interferire.
Quale Dio altrimenti potrebbe vedere morire un bambino di cancro o di Aids e non far nulla? Quale Dio potrebbe permettere un’infanzia fatta di radiazioni e di letti d’ospedale, con i capelli radi e le vene fragili, o di fame dimenticata, con la pancia grossa e le mosche negli occhi, o di abbandono e di maltrattamenti, con i vestiti sporchi e i lividi sul corpo.
Un infanzia senza l’angelo custode, oppure con angelo custode indifferente o impegnato altrove, forse da altri bambini che di angeli al loro fianco sembrano averne due. Quale Dio potrebbe lasciare morire un bambino solo perché rincorreva un pallone? Quale angelo po’ distarsi fino a questo punto?
No, Dio non esiste, perché se esiste un Dio che consente il dolore del mondo come effetto collaterale della sua conoscenza – se pure la contropartita è la nostra libertà - è un Dio difficile da accettare, soprattutto per me, che ho pagato sulla mia pelle. E nessuno mi dica, invece, che l’agire divino è inafferrabile e misterioso, che Dio sta al di là di tutte le idee di giustizia che possiamo avere su di Lui, perché non posso accettare neppure questo. Sono disposto, anche se con grande disagio, a sopportare la mia sofferenza e quella degli altri, anche quando sembra accanirsi, ma non sono disposto a accettare la sofferenza di un bambino nascondendomi dietro alle imperscrutabili motivazioni dell’agire divino. È facile vedere Dio nella bellezza della natura o nella perfezione delle dinamiche cosmiche, ma allora lo si dovrebbe vedere anche nelle putride discariche di Calcutta, che sono le case di bambini che si cibano di spazzatura, o in certe camere di albergo a Bangkok, e nella supplica che il bambino rivolge al pedofilo che lo violenta e che si esalta, il bastardo, si esalta per quella preghiera. Lo si dovrebbe vedere, certo, ma io non lo vedo.
E pensare che invece c’è stato un tempo in cui l’ho pregato, Dio, gli ho chiesto di salvare David. Non l’ha fatto. Perché? Eppure qualche volta lo fa, sembra che faccia miracoli. Con quale criterio? Ci sono forse bambini che meritano più di altri di essere salvati? David non lo era, meritevole? Non posso credere che Dio premi i figli di quelli che hanno più fede in Lui, perché i bambini sono tutti uguali.
I vecchi possono dire ciò che vogliono, quasi come i bambini, quelli più piccoli, perché agli altri non è più concesso. I vecchi scorbutici posso risultare persino simpatici, non hanno più niente da perdere o da dimostrare. Possono dire a un cretino che è cretino senza aver paura che questo si offenda, e se per caso è davvero così cretino da offendersi, loro, i vecchi se ne fregano. Ma siamo in pochi ad averlo capito, siamo in pochi ad aver superato ogni forma di ipocrisia, siamo in pochi ad esserci conquistati il lusso della sincerità.
Solo se si ha un corpo disfatto come il mio, solo se lei ti vede cadere quando provi a camminare, solo se lei ti vede mangiare con difficoltà o ti deve imboccare puoi capire intendo. Se superi la falsità dell’apparenza, la rigidità della forma, la decadenza della vecchiaia, allora non c’è nulla che ti può imbarazzare.
Ora crederete che l’amo. Non l’amo, ho bisogno di lei, ma non l’amo.
Ci ho pensato, sapete, avessi trent’anni di meno sono certo che l’amerei, ma oggi non posso più amare nessuno. Sono troppo distante da me e dalla vita per amare veramente. Ho detto che se mi guardo indietro la mia vita mi sembra quella di un altro. Va bene, d’accordo, quell’altro sapeva amare, io no.
(Stefano, fisioterapista) A me era sempre piaciuto quell’uomo, vedevo che era speciale, che dietro e dentro al suo dolore, alla sua insofferenza, al suo disincanto, alla sua ironia, c’era tutto un mondo da scoprire, a cui però fino ad allora non avevo avuto accesso. O forse ero io, che non avevo mai trovato le chiavi per aprire la porta spessa dietro la quale viveva.
Ora crederete che l’amo. Non l’amo, ho bisogno di lei, ma non l’amo.
Ci ho pensato, sapete, avessi trent’anni di meno sono certo che l’amerei, ma oggi non posso più amare nessuno. Sono troppo distante da me e dalla vita per amare veramente. Ho detto che se mi guardo indietro la mia vita mi sembra quella di un altro. Va bene, d’accordo, quell’altro sapeva amare, io no.
(Stefano, fisioterapista) A me era sempre piaciuto quell’uomo, vedevo che era speciale, che dietro e dentro al suo dolore, alla sua insofferenza, al suo disincanto, alla sua ironia, c’era tutto un mondo da scoprire, a cui però fino ad allora non avevo avuto accesso. O forse ero io, che non avevo mai trovato le chiavi per aprire la porta spessa dietro la quale viveva.
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