Mamma uscì dal bagno e aprì la cassapanca per
prendere gli asciugamani. – Giacomo… - disse, con quella voce dolce e profonda
al tempo stesso che mette su quando c’è della verità vera in quello che sta per
dire, - nella vita ci sono cose che si posso governare, altre che bisogna
prendere come vengono. È talmente più grande di noi la vita. È complessa, ed è
misteriosa… - Mentre lo diceva aveva gli occhi che luccicavano: lei ha sempre
questi occhi pieni di stelle quando parla della vita, anche oggi. – L’unica
cosa che si può scegliere è amare, - disse – Amare senza condizioni.
Prima di quel giorno pensavo che il silenzio
fosse assenza di rumore. Invece il silenzio è un suono, e c’è silenzio e
silenzio. In quella mezz’ora, il silenzio mi parlò: mi disse che Gio aveva
bisogno di me, costante bisogno di me; e io capii che ormai, senza Gio, non ci
volevo più stare a questo mondo. I suoi problemi erano i miei. E i miei
problemi? A quelli ci avrei pensato da solo, senza disturbare; avrei trovato
una soluzione. O almeno ci speravo.
Dopo aver strisciato nel sottobosco della
coscienza per due anni, una serie di domande erano alla fine arrivate a
stringermi d’assedio. Come avrei fatto a vivere con le fragilità di mio
fratello? Come avrei fatto ad essere felice sapendo che lui non avrebbe mai
avuto una ragazza e forse nemmeno degli amici, degli amici come i miei, con cui
confidarsi, con cui litigare – come avrei fatto? Sarei stato in grado di
gestire la mie vita badando anche ai suoi problemi, aiutandolo a tirarsi su
quando avrebbe scoperto chi era veramente? E come avrei fatto a convivere con
la paura di vederlo soffrire, di vederlo morire?
Gio non ci badava. Per lui le persone che
stavano ridendo di lui stavano semplicemente ridendo accanto a lui e lui le lasciava fare. Tanto lui rideva anche di
più.
[..] Poi Giovanni venne a recuperarci con la
voglia di giocare a qualcosa e iniziammo una sfida lunghissima a prendi-prendi
che dopo un po’ sia io sia lei eravamo senza fiato. Anzi a dirla tutta, fui io
il primo a dichiararmi sconfitto, e Gio, a quel punto interessato a non so cosa
dall’altra parte del giardino, prese Arianna per mano e la condusse con sé.
Arianna lo seguì, Vederli camminare insieme, mano nella mano, fu il sigillo
della mia lotta interiore. Non era stata una lotta con occhi neri, macchi
rubate, bombe a mano, rapine in banca, coltelli. Nessun colpo di scena. Era
avvenuto tutto nei tredici centimetri del mio cuore, nello spazio delle sue
dimensioni fisiche; i pugni erano solo quelli tirati alla porta di casa mia
perché mi sentivo una merda di fratello, le bombe erano quelle che sentivo in
pancia quando si abusava della parola Down e io non facevo niente; ma davanti a
loro due, quel diciannove febbraio, capii che era tutto finito. Che in un modo
o nell’altro ce l’avevo fatta.
[..] Gio che non capisce perché la sua ombra
lo segue, e di tanto in tanto si volta di scatto a vedere se è ancora lì.
Ma quella mattina, al mercato, al tipo con la
cravatta giusta eccetera, papà rispose: - Di lavoro faccio il papà. Nel tempo
libero sono imprenditore di timbri, ricercatore di errori nei bilanci, dottore
per l’umore delle maestre. E calciatore professionista nelle ricreazioni. E
scrittore di genere…
- Che genere?
- Dramma aziendale. Hai presente i verbali?
- Maddài! Ma che stai dicendo? È un modo per
dire che sei disoccupato?
Papà sorrise. – No. Per dire che sono
segretario in un asilo.
- Ma figurati… - replicò lui con un
sorrisetto.
- Te lo giuro.
L’altro assunse un’espressione strana, come se
ancora non ci credesse. – E come ci sei finito?
- Bhè, ammetto che è stata dura. E non
nascondo che ho fatto un sacco di cose prima di ottenere questo posto. Ho
lavorato per delle grandi aziende, ho dovuto accettare benefit di ogni tipo. Ma
alla fine ci sono riuscito.
Il vecchio compagno di scuola era sempre più
incredulo.
- Erano anni che lo sognavo, anni: segretario,
- e fece un movimento ad arco con la mano, come per visualizzare una targhetta
affissa alla porta dell’ufficio, poi iniziò a elencare sulle dita. – Contratto
a tempo indeterminato. Mensa gratuita. Bambini che raccontano barzellette.
Mamme, - disse strizzando l’occhio, - mamme giovani che ti salutano ogni giorno
e vengono a parlare con te per iscrivere il figlio. Fotocopie, - aggiunse, come
se se lo fosse ricordato solo in quel momento, - fotocopie a due centesimi
l’una. Telefonate gratuite. Vincere sempre, e dico sempre, a calcio durante le ricreazioni. Un computer così lento che
nel frattempo puoi fare mille altre cose. Parcheggio solo per te. Giocattoli in
disuso che porti a casa per tutti. Bicicletta dimenticata da anni che diventa
la tua bicicletta aziendale. Tutte cose che, ahimè, chi fa altri lavori non sa
nemmeno cosa sono.
- …
- Tu invece che lavoro fai, Tommaso…
- Veramente io sono Luca.
- Oh sì, certo, Luca. Che lavora fai, Luca?
- Avvocato.
- Urcà – disse papà, con l’aria di uno cui era
stato pestato il piede. – Mi spiace. E ne hai ancora per molto?
Nessun commento:
Posta un commento