A volte basta la parola di qualcuno che crede in te
per rimetterti al mondo.
Stringo tra le mani
la lettera per Beatrice scritta da Silvia, inzuppata dalle mie lacrime. La
strappo in mille pezzi con i denti e con la mano sana. Abbandono i frammenti
alla corrente. Lì c’è la mia anima nera. La mia anima scritta.
E adesso tutti i
pezzi della mia anima sono lì che annegano nella corrente e se ne vanno
ciascuno per conto suo, e nessuno li potrà mai più raccogliere: nessuno. Annego
in ciascuno di quei pezzi di carta. Annego la mia anima non c’è più, se l’è
portata via la corrente.
Odiare è l’unico
modo di essere più velenosi dello scorpione. Un odio rapido come il fuoco che
divora la carta e paglia, un odio che brucia tutto ciò che tocca, e più tocca
più si esalta. Essere cattivo. Essere solo. Essere fuoco. Essere ferro.
Questa è la
soluzione. Distruggere e resistere.
Questo dolore è
tanto denso che ci puoi galleggiare senza bisogno di nuotare.
Ma perché cerco la
solitudine e poi quando annego nel suo bianco senza appigli mi terrorizza?
Perché voglio che qualcuno mi lanci un salvagente, ma poi non faccio niente per
afferrarlo? Forse capirò le mie capacità, i miei sogni, ma saprò mai fare
davvero qualcosa, a parte il naufrago che non si lascia aiutare?
Rimango in
silenzio. Qualcuno dentro di me sta uscendo dalla caverna. Qualcuno che e ne
stava lì nascosto, ferito e bisognoso di aiuto, forse finalmente si sta
decidendo ad affrontare i dinosauri. In questo momento sto passando dall’età della
pietra a quella del metallo. Non è un gran passo, ma almeno sento di avere
qualche arma affilata contro i dinosauri della vita. La sensazione è più forte
della corazza di ferro e fuoco che credevo di aver costruito con la mia rabbia.
È una forza diversa, questo nuovo qualcuno aderisce alla mia pelle e la rende
trasparente, forte, elastica.
Una volta ho letto in un libro che l’amore non
esiste per renderci felici, ma per dimostrarci quanto sia forte la nostra
capacità di sopportare il dolore
Ci sono due modi
per guardare il volto di una persona. Uno è guardare gli occhi come parte del volto.
L’altro è guardare gli occhi e basta, come se fossero il volto. È una di quelle
cose che mettono paura quando le fai. Perché gli occhi sono la vita in
miniatura. Bianchi intorno, come il nulla in cui galleggia la vita, l’iride
colorata, come la varietà imprevedibile che la caratterizza, sino a tuffarsi
nel nero della pupilla che tutto inghiotte, come un pozzo oscuro senza colore e
senza fondo. Ed è lì che mi sono tuffato guardando Silvia in quel modo,
nell’oceano profondo della sua vita, entrandoci dentro e lasciando entrare lei
nella mia: gli occhi.
Le risposte
importanti sono scritte tra le righe dei libri e devi essere tu capace di
leggerle!
Mentre lo faccio meccanicamente penso alla prossima mossa, la mossa per
dare scacco matto al destino, la mossa per essere felice. Ogni tanto guardo il
cielo e le mie dita si soffermano sulle rughe secolari di quel albero che è
forte, che è saldo, che è felice nel cuore di quel parco. È un albero e fa
l’albero: affonda le due radici nell’acqua del fiume vicino e cresce. Segue la
sua natura. Ecco il segreto della sua felicità: essere se stessi e basta. Fare
quello che si è chiamai a essere.
Non bisogna avere paura delle parole. Questo è quello che ho imparato con
la malattia. Le cose bisogna chiamarle con il loro nome, senza paura.
Il suo canto riempie ogni angolo della stanza, anche quelli dove la luce
non arriva mai, e dilaga fuori dalla finestra, andando in giro per la città
addormentata, cieca nel suo grigio e ripetitivo viavai, ammorbidendo gli angoli
retti della vita quotidiana e le mascelle contratte dal dolore e dalla fatica.
Poi Beatrice piange, con un sorriso mescolato alle lacrime.
Con lo sguardo fisso, immobile, attento su di lei, mi chiedo perché il
dolore e la gioia piangano allo stesso modo.
Beatrice è morta.
Questa parola, morta, è talmente violenta che la puoi dire una volta sola e
poi devi stare zitto.
Dio non servono più le stelle: spegnile una ad una.
Smantella il sole e imballa la luna.
Svuota l’oceano, sradica le piante.
Ormai più nulla è importante.
E soprattutto, lasciami in pace.
E la vita è l’unica cosa che non s’inganna, se tu, cuore, hai il coraggio
di accettarla…
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