Sono senz’altro persone molto diverse fra
loro. [..]
Siamo diversi, appunto. Molto diversi fra noi.
Leggiamo per noia, per curiosità, per scappare alla vita che facciamo, per
guardarla in faccia, per sapere, per dimenticare, per addomesticare i mostri
fra la testa e il cuore, per liberarli.
Non ci somigliamo per niente anche se teniamo
in mano, amiamo, detestiamo, e se per Natale regaleremo a chi ci è più caro, lo
stesso libro.
Non ci somigliamo per niente.
Fatalmente, è proprio questo che, sì: non c’è
dubbio.
Esistiamo.
Ed è questo, forse, che intende la mia editor,
quando mi suggerisce di pensare ai lettori
È un modo per dirmi sceglilo tu, tu e basta,
il titolo, scegli tu ognuna delle parole del tuo romanzo, perché sano ognuna
uguale solo a se stessa.
Com’eravamo noi, tutti in quella fila, dietro
e davanti alla cassa. Uguali solo a noi stessi, con la speranza di affidare a
un’altra storia la nostra. Per perderla, per ritrovarla.
Per rimediare, in qualche modo, all’esistenza.
Purtroppo Peppino e Carletto non possono dire
la loro: ho sempre la sensazione che i bambini con me si trovino apparentemente
a loro agio, ma non perché si sentono protetti. Perché sentono l’ebrezza di
doversi proteggere da soli. Di stare fra coetanei, insomma.
Improvvisamente mi domando se, a furia di
confrontarmi con le infinite variazioni che la vita consente allo stare
insieme, non abbia perso di vista de fondamentali che le rendono tutte uguali,
le famiglie.
Per esempio il tollerarsi.
«Forse Mio Marito e io non ce l’aspettavamo,»
penso, a voce alta.
«Che cosa?» mi domanda Claudia.
«Che l’altro esistesse a prescindere dai noi.
Che non fosse lì esclusivamente a nostra disposizione.»
Da quando la mia vita è vuota non mi ero
accorta che fosse così piena.
[..] «Sei straordinaria, Chiara.»
«No, non è vero, barbara. Sono assolutamente
nella media. Ma Mio Marito mi ha raggiunto proprio in quel particolare punto di
noi dove, se toccati, riusciamo a sentirci ameno un po’ speciali. Addirittura
fantastici, in certi momenti. A casa… Ecco. Riusciamo a Sentirci finalmente a
casa, se toccati in quel particolare punto. Capisci?»
«Capisco.»
«E quando un essere umano ti tocca lì, è dura
farne a meno. Hai paura di perdere tutta te stessa, perdendo lui.»
Perché, in effetti, il meglio della vita sta
in tutte quelle esperienze interessanti che ancora ci aspettano: con il gioco
dei dieci minuti lo sto imparando.
Dunque sta anche nei libri che tutti hanno
letto, ma che per qualche imprecisato motivo noi ancora no.
Penso a come un distacco non segni per forza
la fine di un’esperienza.
Anzi: può darle il permesso di durare per
sempre.
Perché nelle infinite semplificazioni con cui
crediamo di metterci in salvo e dentro cui invece di perdiamo, c’è una cosa,
una soltanto, che può venirci dietro, che non possiamo ingannare.
Questa cosa è il tempo.
Che è qualcosa di pochissimo, se siamo felici.
È qualcosa di tantissimo, se siamo disperati.
Comunque sta lì.
Con una lunga, estenuante, miracolosa serie di
dieci minuti a disposizione.
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